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Proponiamo soltanto psicoterapie scientificamente provate, raccomandate dalle linee guida internazionali, selezionando psicoterapeuti e psichiatri altamente formati.
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Il costante innalzamento dell’età media determina la maggiore incidenza delle patologie neurodegenerative tipiche dell’invecchiamento (demenze), che compromettono le capacità di attenzione, concentrazione, memoria, ragionamento, calcolo, logica, orientamento, con ripercussioni sull’individuo e sulla sua famiglia (disturbo neurocognitivo). Fino a qualche decennio fa la demenza conclamata era considerata una condizione senza ritorno ma, con il procedere delle ricerche sul SNC e in ambito neuropsicologico, si è avuta una maggiore conoscenza delle caratteristiche di questa patologia, una migliore differenziazione delle sue forme e, di conseguenza, un approccio di tipo terapeutico.
La demenza di Alzheimer rappresenta, il 54% di tutte le demenze, con una prevalenza nella popolazione ultra sessantacinquenne del 4,4%. La prevalenza di questa patologia aumenta con l’età e risulta maggiore nelle donne, che presentano valori che vanno dallo 0,7% per la classe d’età 65-69 anni al 23,6% per le ultranovantenni, rispetto agli uomini i cui valori variano rispettivamente dallo 0,6% al 17,6%. I tassi d’incidenza per la demenza di Alzheimer osservati in Europa indicano un incremento nei maschi da 0,9 casi per 1.000 anni-persona nella fascia d’età 65-69 anni a 20 casi in quella con età maggiore di 90 anni; nelle donne, invece, l’incremento varia da 2,2 nella classe d’età 65-69 a 69,7 casi per 1.000 anni-persona in quella maggiore di 90 anni (Ministero della Salute, 2013).
Ad oggi si pone sempre di più l’esigenza di formulare una diagnosi precoce, di implementare programmi di prevenzione e di stimolazione delle abilità cognitive residue, di fornire supporto al caregiver/nucleo familiare del paziente affetto da disturbo neurocognitivo. Sono numerosi ormai gli studi che dimostrano l’efficacia di interventi di stimolazione cognitiva e gli effetti positivi sono comprovati sia sul paziente – con miglioramento del funzionamento cognitivo e dei disturbi emotivo-comportamentali – sia sul caregiver, riguardo alla qualità di vita e alla sfera relazionale.
Secondo il DMS-5 (Diagnostic and statistical manual of mental disorders – 5) i criteri per formulare diagnosi di disturbo neurcognitivo sono:
Le demenze si differenziano, a seconda del grado di intereferenza con lo svolgimento autonomo delle attività quotidiane di base e strumentali, per livello di compromissione:
Si differenziano inoltre per eziologia:
I disturbi neurocognitivi maggiori sono quei disturbi con un alto grado di danneggiamento cognitivo in almeno una delle seguenti aree:
Lieve deterioramento cognitivo in uno o più degli stessi domini dei disturbi neurocognitivi maggiori, ma che hanno conservato un funzionamento autonomo e l’indipendenza nello svolgimento delle attività quotidiane. Queste sindromi, ampiamente diffuse e riscontrate nella pratica clinica sono particolarmente critiche in quanto, se riconosciute e individuate in tempo, rappresentano il terreno fertile per l’intervento dei clinici. Esempi di questo tipo di disturbi sono le demenze dovute a condizioni mediche generali, a traumi cranici, a malattie psichiatriche, ma anche i primi stadi di malattie neurodegenerative come la demenza di Alzheimer.
Il disturbo neurocognitivo minore si presenta in associazione a sintomi psicotici (ideazione delirante ed allucinazioni), alterazione dell’umore (ansia, euforia, depressione, labilità emotiva), autonomia funzionale intaccata, ma sufficientemente compensata attraverso l’uso di strategie compensatorie e di adattamento.
Il disturbo neurocognitivo moderato si associa a disturbi comportamentali (vagabondaggio, comportamenti di accumulo, aggressività, agitazione psico-motoria etc.).
Il disturbo neurocognitivo maggiore si presenta in associazione a dipendenza totale nello svolgimento delle attività del quotidiano.
Le forme più diffuse di deficit neurocognitivo sono legate ai quadri clinici di: demenza di Alzheimer, demenza fronto temporale, demenza a corpi di Lewy, demenza vascolare, demenza associata a Parkinson, demenza da trauma cranico. I deficit neurocognitivi, l’esordio, il decorso e la prognosi si differenziano per ciascuno dei suddetti quadri clinici.
I sintomi cognitivi rilevati sono deficit di memoria, di apprendimento, di linguaggio, delle funzioni esecutive e visuo-costruttive.
Il decorso è caratterizzato da declino lento e graduale; dopo la diagnosi la durata media di vita è di circa 10 anni.
I sintomi cognitivi rilevati includono cambiamento comportamentale e della personalità e/o deficit del linguaggio.
Il decorso è gradualmente progressivo con una sopravvivenza media di 6-11 anni dall’insorgenza dei sintomi.
I sintomi cognitivi peculiari comprendono deficit delle funzioni esecutive e visuo-spaziali.
Il decorso è fluttuante e ingravescente.
I sintomi cognitivi osservati prevedono alterazione dell’attenzione complessa, tra cui risulta particolarmente alterata la velocità di elaborazione. In associazione si osservano cambiamenti di personalità e umore, incluse abulia, depressione e labilità emotiva.
Il decorso può variare da un episodio acuto con un miglioramento parziale ad un declino graduale, ad un declino progressivo.
I sintomi osservati includono peggioramento della memoria, del linguaggio, della funzione esecutiva e delle abilità percerttivo-motorie in assenza di corrispondenti lesioni focali rilevate agli esami strumentali.
Il decorso è variabile in funzione della gravità, della lesine, dell’età, precedente storia di danno cerebrale o abuso di sostanze. In parallelo al quadro cognitivo si associano irritabilità, facilità alla frustrazione, tensione e ansia, labilità affettiva, cambiamenti di personalità, apatia, sospettosità, aggressività, alterazioni fisiche, disturbi del sonno.
I sintomi cognitivi includono deficit delle funzioni esecutive e visuo-spaziali, associati ad apatia, umore depresso, ansia, allucinazioni, deliri, cambiamenti di personalità, disturbo del sonno REM, sonnolenza diurna. Il decorso è variabile, così come la prognosi che può raggiungere una durata media anche di 20 anni.
Le linee guida per il trattamento della demenza e del deficit neurocognitivo associato prevedono la combinazione di terapie farmacologiche e di terapie non farmacologiche.
La scelta del farmaco dipende dalla tipologia di demenza da cui è affetto il paziente. In generale, i farmaci considerati di elezione sono gli inibitori dell’acetilcolinesterasi (donepezil, galantamina, rivastigmina) e glutammatergici (memantina). Per i disturbi emotivo-comportamentali associati le classi di farmaci attualmente impiegate sono quelle degli antidepressivi, degli antipsicotici atipici di seconda generazione e gli stabilizzatori dell’umore.
Nel corso degli ultimi vent’anni hanno ricevuto un’attenzione crescente le terapie non farmacologiche, in primis la riabilitazione neuropsicologica. Questo interesse sembra legato principalmente diversi fattori: efficacia relativa ed effetti avversi gravi della terapia farmacologica, maggiori conoscenze sui meccanismi del disturbo neurocognitivo e della plasticità cerebrale, numerose sperimentazioni con prove di efficacia di trattamenti non farmacologici.
La riabilitazione neuropsicologica è un processo di stimolazione cognitiva rivolto al soggetto con disturbo neurocognitivo atto a:
L’intervento di riabilitazione neuropsicologia prevede sedute individuali o di gruppo (massimo 5 persone) da 45 minuti, a cadenza settimanale/bisettimanale, con somministrazione di schede cartacee e/o esercizi computerizzati, divisi per dominio cognitivo, volti a potenziare le abilità residue ed a acquisire strategie di compenso per le abilità deficitarie.
Il Gruppo Studi Cognitivi è leader in Italia nel campo della psicoterapia. Il gruppo è specializzato primariamente nell’alta formazione, nella ricerca, nella divulgazione scientifica e nell’erogazione di servizi clinici nel campo della salute mentale.