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Il disturbo dello spettro dell’autismo è un disturbo con esordio in età evolutiva. Rappresenta una condizione che colpisce circa l’1% della popolazione, con stime simili in campioni di bambini e adulti; gli studi fatti su tutta la popolazione, e non solo su quella che accede ai servizi, danno stime di 1 su 50.
Nel DMS 5 l’autismo è stato inquadrato secondo un nuovo orientamento diagnostico (2013) che oltre a sostituire l’espressione “Disturbi pervasivi (o generalizzati) dello sviluppo” con il termine “Disturbi dello spettro dell’autismo”, elimina anche la presenza dei differenti sottotipi della patologia o forme di autismo: sindrome di Asperger, disturbo pervasivo non altrimenti specificato, disturbo disintegrativo, sindrome di Rett (grave patologia neurologica di origine genetica, ora inserita nei disturbi genetici).
Questa nuova dicitura richiama l’attenzione sul concetto dimensionale dell’autismo, caratterizzato da comportamenti che si estendono senza soluzione di continuità tra normalità e malattia, ma che si differenziano perché la frequenza e l’intensità di quel sintomo non consentono di adattarsi al contesto, di sviluppare le risorse cognitive, di acquisire e di mantenere le relazioni sociali.
Il fatto che il disturbo venga considerato all’interno di uno “spettro” significa che la distribuzione della frequenza di un dato comportamento problematico varia nel tempo e nell’intensità della sua manifestazione. Questo comporta che all’interno delle dimensioni, o sintomi dell’autismo, si racchiudono persone con caratteristiche cliniche eterogenee nella compromissione sociale e nella presenza di comportamenti ripetitivi e di interessi ristretti.
I soggetti affetti da disturbi dello spettro dell’autismo condividerebbero la compromissione delle funzioni sociali e comunicative associate a interessi ristretti e comportamenti stereotipati. Tuttavia, la presenza di disabilità intellettiva (secondo ultime ricerche nel 30% dei soggetti) e la presenza di sintomi associati, tra cui instabilità motoria e attentiva, e di altri disturbi del comportamento, ipersensibilità ai suoni ed elevata soglia del dolore, contribuiscono all’ampia eterogeneità clinica.
I sintomi dell’autismo di matrice comportamentale si riferiscono a due dimensioni:
I deficit riscontrabili in questa area vanno dall’assenza di reciprocità emotiva, al deterioramento dell’uso di comportamenti non verbali, alla difficoltà nello sviluppare o mantenere amicizie, e assenza di condivisione di esperienze. Le difficoltà nella reciprocità socio-emotiva vanno da un approccio sociale anomalo al fallimento della reciprocità della conversazione; da una ridotta manifestazione di interesse, emozioni o affetto, al fallimento nell’iniziare, terminare o rispondere all’interazione sociale. Queste difficoltà vanno da poca o nessuna iniziativa nell’interazione sociale e una ridotta imitazione, a un linguaggio usato per richiedere o etichettare ma non per commentare, una comunicazione unidirezionale e una scarsa condivisione delle emozioni; fino a difficoltà nell’elaborare o rispondere a stimoli sociali complessi, gestire emozioni complesse. Molte persone con disturbo dello spettro dell’autismo lieve sentono la necessità di “calcolare” cognitivamente ciò che è intuitivo per gli altri e spesso questo provoca ansia sociale.
La comunicazione verbale e non verbale risultano scarsamente integrate, il contatto oculare o il linguaggio del corpo sono anomali, vi è una difficoltà nella comprensione e nell’uso dei gesti e vi può essere una mancanza di espressività facciale e comunicazione non verbale.
Le difficoltà nei bambini con autismo vanno dalla mancanza di attenzione condivisa – manifestata attraverso mancanza di pointing (indicare), mostrare, o portare e condividere oggetti di interesse, non seguire lo sguardo dell’altro (triangolazione) – a un repertorio di gesti inferiore a quanto ci si aspetterebbe per l’età di sviluppo.
Le difficoltà nello sviluppare, mantenere o comprendere le relazioni riguardano l’abilità nell’adattare il comportamento ai diversi contesti sociali (es. linguaggio o vestiario casual a un colloquio di lavoro), condividere il gioco di fantasia, usare ironia, sarcasmo o bugie bianche, e fare amicizie fino all’apparente assenza di interesse verso i pari.
Con la seconda dimensione si fa riferimento alla presenza di movimenti stereotipati o ripetitivi (ad esempio uso degli stessi oggetti, ecolalia, ecc), alla aderenza inflessibile (sameness) a routine non funzionali, agli interessi ristretti e fissi e alla iper o ipo-reattività a stimoli sensoriali o inusuali interessi ad aspetti sensoriali dell’ambiente.
I comportamenti ripetitivi e restrittivi osservati nell’autismo possono essere i sintomi maggiormente isolanti della malattia. Spesso i bambini con autismo desiderano fortemente una routine rigida e sono estremamente disturbati se si verificano deviazioni da questa. Questo confidare sul mantenimento di una routine non funzionale per evitare conflitti può rendere la vita della famiglia molto stressante. Movimenti ripetitivi, come il flapping (sfarfallamento) delle mani o l’intenso interesse per le parti di un oggetto, come il far girare le ruote di una macchinina, sono spie di questi comportamenti. I bambini con autismo possono anche avere difficoltà nell’addormentarsi o nel restare addormentati, oltre a manifestare preferenze alimentari limitate e un’ipersensibilità o iposensibilità in uno dei cinque sensi (ad esempio, indifferenza al dolore, alla temperatura, reazioni di panico nei confronti di rumori comuni, odorare o toccare lo stesso oggetto con insistenza inusuale, ecc.).
Ogni dimensione viene poi specificata in relazione alla gravità, per la quale si distinguono tre livelli:
I disturbi dello spettro dell’autismo colpiscono la popolazione maschile rispetto a quella femminile secondo un rapporto di 4:1. I sintomi di autismo in genere vengono riconosciuti nel secondo anno di vita (12-24 mesi di età), ma possono essere osservati segnali di autismo prima dei 12 mesi se il ritardo dello sviluppo è grave o dopo i 24 mesi se i sintomi di autismo sono attenuati.
Le caratteristiche comportamentali del disturbo dello spettro dell’autismo iniziano a diventare evidenti nella prima infanzia, con alcuni casi di individui che presentano uno scarso interesse per le interazioni sociali già nel primo anno di vita. Alcuni bambini con autismo sperimentano fasi di plateau o di regressione dello sviluppo, con un graduale o relativamente precoce deterioramento del comportamento sociale o dell’uso del linguaggio, spesso durante i primi 2 anni di vita.
I primi sintomi di autismo comportano frequentemente uno sviluppo del linguaggio ritardato, spesso associato a scarsi interessi sociali o a insolite interazioni sociali, a modalità di gioco stravaganti e a modalità di comunicazione insolite. Durante il secondo anno, i comportamenti stravaganti e ripetitivi e l’assenza di giochi abituali diventano più evidenti.
È una condizione da cui non si può guarire, ma su cui intervenire. L’identificazione precoce dell’autismo rappresenta una sfida importante poiché apre delle possibilità di presa a carico a un’età dove alcuni processi di sviluppo possono ancora venire modificati. Le ricerche che valutano gli effetti di un intervento precoce mostrano che i bambini beneficiari di tali interventi presentano dei progressi significativi sul piano cognitivo, emotivo e sociale. Una piccola percentuale di bambini con autismo peggiora con l’adolescenza. Le persone che migliorano sono maggiori rispetto a quelle che peggiorano. Tuttavia, anche questi individui rimangono socialmente ingenui e vulnerabili, trovano difficoltà nell’organizzazione pratica delle cose se non ricevono aiuto e sono predisposti a sviluppare ansia e depressione, con un rischio di sviluppare condizioni concomitanti in età adulta tra il 70% e il 90%.
I disturbi dello spettro dell’autismo sono un contenitore in cui sono presenti molteplici comportamenti e ancora più cause, ed è importante ricordare che la diagnosi di autismo può essere formulata solo attraverso l’osservazione del comportamento.
L’eziopatogenesi del disturbo dello spettro dell’autismo è ancora sconosciuta. Le stime attuali attribuiscono un peso uguale a fattori genetici e ambientali.
I fattori genetici possono riguardare sia mutazioni nuove che ereditate dai genitori. Le stime di ereditarietà del disturbo dello spettro dell’autismo variano tra 37% e 90%, sulla base del tasso di concordanza tra gemelli. Al momento si stanno studiando quasi 1000 diversi geni che si pensano implicati in questa condizione ed è possibile tracciare una causalità diretta in circa il 15% dei casi.
Un ruolo altrettanto importante è degli oltre 50 fattori ambientali conosciuti, soprattutto attraverso interazioni complesse gene-ambiente, ovvero la possibilità di modificare l’espressione dei geni attraverso cambiamenti apportati nell’ambiente (stile di vita, la dieta, forme di stimolazione precoce, l’età dei genitori, l’esposizione a sostanze tossiche o virali come il valproato, la presenza di alcune malattie immunitarie nei genitori o forti stress durante la gravidanza). Nessun fattore ambientale, tuttavia, è sufficiente da solo a provocare l’autismo, ma possono essere eventi scatenanti o concorrenti in alcuni.
Le principali teorie che hanno cercato di studiare, dal punto di vista cognitivo, il funzionamento delle persone con autismo sono la Teoria della Mente, la Teoria della Coerenza Centrale e la presenza di deficit diffusi nelle funzioni esecutive.
Studiosi e ricercatori sono concordi nell’affermare che nel disturbo la disfunzione cognitiva da cui deriverebbero gli altri sintomi di autismo consista in una incapacità di rendersi conto del pensiero altrui: sarebbe cioè carente o assente proprio la teoria della mente. La persona con autismo non riconosce gli stati mentali propri e altrui e non riesce a capacitarsi di ciò che accade attorno a lei. Le abilità chiave che ci permettono di capire che vi sono interferenze sulla teoria della mente sono l’assenza di un’attenzione condivisa, della comunicazione intenzionale e della capacità di imitare.
Il deficit di coerenza centrale fa riferimento a problematiche generali (ad esempio: attenzione, percezione visiva, ecc.): si tratta di un insieme di abilità che consentirebbero di cogliere la struttura complessiva di uno stimolo e le relazioni con il contesto; in questo ambito l’attenzione selettiva e quella divisa giocano un ruolo importante.
La teoria di coerenza centrale sembra trovare una spiegazione per i comportamenti ripetitivi e le “isole di abilità” o interessi particolari che spesso i soggetti autistici presentano. I primi infatti potrebbero essere interpretati come “frammenti” di azioni più complesse, che quindi vengono decontestualizzate e ripetute senza che ci sia un sistema in grado di inibirle adeguatamente.
Accanto all’ipotesi di uno specifico deficit sociale/cognitivo alla base dei sintomi di autismo, recentemente è stato suggerito che il disordine sia caratterizzato da una più generale difficoltà nei sistemi responsabili del controllo e della pianificazione del comportamento: si tratta delle cosiddette funzioni esecutive, costituite da procedure generali che dovrebbero consentire di pianificare le azioni volte al raggiungimento di uno scopo, tenendo presente il contesto.
Non è possibile individuare un intervento esclusivo e specifico per tutte le persone affette da autismo a causa della variabilità e complessità dei sintomi. Il percorso terapeutico deve evolversi e modificarsi in funzione dell’evoluzione e dei cambiamenti, in itinere, del disturbo. Quanto più complesso appare il quadro clinico più è necessario individuare obiettivi intermedi, ciascuno dei quali può prevedere più interventi per la sua realizzazione.
Il percorso terapeutico, in generale, dovrebbe prevedere l’attivazione di una serie di interventi finalizzati ad arricchire l’interazione sociale, a incrementare la comunicazione e a facilitare l’ampliamento degli interessi rendendo più flessibili gli schemi di azione. Tutto questo con un percorso di parent training coinvolgendo attivamente i genitori e con il continuo adattamento dell’intero contesto ambientale, con l’obiettivo di aiutare le famiglie a interagire con i loro figli, promuovere lo sviluppo e l’incremento della soddisfazione dei genitori, del loro empowerment e benessere emotivo.
Nel trattamento delle persone con diagnosi di autismo può emergere la necessità di ricorrere a una terapia farmacologica, che ha l’obiettivo di affrontare e ridurre a livello sintomatologico i diversi problemi che possono accompagnare questa condizione. Tuttavia non esiste una validazione specifica di questi farmaci per il trattamento dei disturbi dello spettro dell’autismo. Studi clinici controllati hanno dimostrato spesso l’inefficacia di alcune strategie di trattamento farmacologico, come nel caso del Citalopram, del Naltrexone, o della Secretina.
I disturbi psichiatrici (ad esempio, ansia sociale e depressione) accompagnano spesso la condizione autistica, ma i farmaci generalmente utilizzati per questi sintomi (antipsicotici tipici e atipici: aloperidolo, clorpromazina, risperidone, aripiprazolo; antidepressivi: fluoxetina, clorimipramina, clonidina; stimolanti: metilfenidato, atomoxetina) determinano effetti indesiderati (aumento di peso, effetti cardiovascolari, sintomi extrapiramidali discinesie, tremori, effetti neuroendocrini); inoltre per alcuni farmaci come gli stimolanti si registrano effetti paradosso (aumento delle stereotipie). Nell’autismo è frequente riscontrare anche la presenza di sintomi neurologici, come l’epilessia. In questo caso si usano farmaci anticonvulsivanti (valproato).
È da tenere, comunque, in considerazione che una terapia farmacologica, da sola, non è sufficiente a modificare la componente comportamentale caratteristica del disturbo. È importante prima di intraprendere un trattamento farmacologico verificare se specifici cambiamenti negli ambienti quotidiani (scuola, casa) o nelle abitudini (ritmi sonno/veglia, attività quotidiane, alimentazione), e soprattutto l’inserimento in protocolli di intervento comportamentali ed educativi, possano migliorare i sintomi indesiderati senza dovere ricorre all’uso di farmaci.
Da un’attenta analisi delle linee guida (Practice Guidelines) stilate dall’American Psychiatric Association (APA) secondo l’Evidence Based Medicine, e dalle Linee Guida Autismo redatte dall’Istituto Superiore di Sanità (2011) emerge che la Terapia Cognitivo-Comportamentale rappresenta ad oggi l’intervento di prima scelta per molti disturbi psichiatrici.
Ad oggi gli interventi psicoeducativi per i disturbi dello spettro autistico, validati da evidenze empiriche e di letteratura, fanno riferimento a una cornice teorica di stampo cognitivo-comportamentale, finalizzati a modificare il comportamento generale per renderlo funzionale ai compiti della vita di ogni giorno (alimentazione, igiene personale, capacità di vestirsi) e tentano di ridurre i comportamenti disfunzionali. La maggior parte di questi interventi si basano sulla tecnica ABA per l’autismo (Applied Behavioural Analysis). Il metodo ABA per l’autismo interviene sulle competenze cognitive, linguistiche e di adattabilità. Altri modelli di intervento si basano sul modello Denver che individua, nelle specifiche caratteristiche di ogni bambino e sulle sue preferenze di gioco o di attività, la leva sulla quale delineare il progetto riabilitativo. Il Denver tiene conto del momento evolutivo del bambino ed è volto a sviluppare le capacità imitative e sociali, oltre a quelle cognitive. Ambedue questi modelli hanno proposto nuovi modelli di intervento applicabili nella fasi precoci dello sviluppo (prima dei 24 mesi).
La Terapia Cognitivo-Comportamentale è indicata come raccomandazione anche per l’Autismo Lieve (Sindrome di Asperger e autismo ad alto funzionamento) per il trattamento della rabbia e la comorbidità con i disturbi d’ansia e dell’umore.
Un programma di intervento di Terapia Cognitivo-Comportamentale modificata per adattarsi efficacemente alle esigenze cognitive e sensoriali delle persone con autismo si focalizza su sia aspetti emotivi sia cognitivi. Le aree di valutazione e di intervento dello sviluppo emotivo sono la maturità dell’espressione emotiva, la complessità o sottigliezza del lessico emotivo e l’efficacia nella gestione delle emozioni.
Un intervento Cognitivo-comportamentale si divide in più fasi: la valutazione della natura e del grado del disturbo dell’umore, l’educazione emotiva, la ristrutturazione cognitiva, la gestione dello stress, l’automonitoraggio e la programmazione delle attività per esercitarsi e mettere in pratica le nuove strategie e abilità cognitive. Una parte centrale dell’intervento consiste nell’insegnamento di abilità comportamentali, cognitive ed emotive (coping skills) utili a modificare pensieri e comportamenti, causa di stati emotivi negativi, come ansia, depressione e rabbia.
Il Gruppo Studi Cognitivi è leader in Italia nel campo della psicoterapia. Il gruppo è specializzato primariamente nell’alta formazione, nella ricerca, nella divulgazione scientifica e nell’erogazione di servizi clinici nel campo della salute mentale.